Vende pezzi di arredamento pregiato dell’ex marito: condannata per appropriazione indebita
La donna coinvolta nel processo, a seguito della denuncia presentata dall'ex marito, ha tenuto un comportamento inequivocabile che l'ha incriminata: è stata la tempistica a rivelarsi cruciale, in quanto ha agito due anni dopo il divorzio.
Dopo un procedimento di separazione, i giudici hanno riconosciuto la responsabilità di una donna per l'appropriazione indebita di oggetti di valore appartenenti all'ex marito. Questi oggetti facevano parte dell'arredamento della casa coniugale. La donna è stata condannata sia in primo grado che in secondo grado e ad un risarcimento per conto dell'uomo. Tuttavia, la difesa ha sostenuto che l'appropriazione indebita si è verificata durante il matrimonio, quando i due erano ancora legalmente uniti. Questo avrebbe dovuto garantirle una causa di non punibilità secondo il codice penale. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ritenuto queste argomentazioni difensive deboli.
La donna non ha contestato la proprietà dei beni da parte dell'ex marito: da un provvedimento relativo alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, infatti, emerge che i beni mobili oggetto del reato erano pacificamente riconducibili all'ex marito. Anche se erano stati assegnati temporaneamente alla donna come parte della casa coniugale, non era stata posta alcuna questione sulla proprietà di questi beni durante il procedimento di separazione civile. Inoltre, la persona offesa non aveva chiesto esplicitamente il ritorno dei beni alla donna. Il Tribunale civile aveva respinto la richiesta, considerando la genericità della richiesta e il fatto che i beni facevano parte dell'arredamento della casa coniugale.
Secondo la Corte di Cassazione, non vi è motivo di escludere la responsabilità della donna per l'appropriazione indebita. Dopo due anni dal divorzio, la donna ha prelevato e dato a un antiquario beni di proprietà dell'ex marito, agendo in modo contrario alla legge. L'ex marito ha presentato querela solo nel 2017 dopo aver scoperto l'accaduto. La Corte ha ritenuto che la condotta della donna integrasse il reato contestato, in quanto l'azione è avvenuta dopo il divorzio. Pertanto, la causa di non punibilità invocata dalla difesa non è stata accettata (Cas. n. 47057 del 20 dicembre 2024).