Condanna sacrosanta per chi denuncia un fatto non vero

Accertata la responsabilità penale di un uomo presentatosi in una stazione dei Carabinieri per denunciare un fatto non vero, ossia il danneggiamento subito dalla propria autovettura

Condanna sacrosanta per chi denuncia un fatto non vero

Falso il fatto denunciato: legittimo parlare di simulazione di reato. Questo il principio fissato dai giudici (sentenza numero 6729 del 18 febbraio 2025 della Cassazione), i quali hanno sancito in via definitiva la responsabilità penale di un uomo presentatosi in una stazione dei Carabinieri per denunciare un fatto non vero, ossia il danneggiamento subito dalla propria autovettura parcheggiata sulla pubblica via.
A inchiodare l’uomo sotto processo sono stati gli accertamenti effettuati, a seguito della denuncia da lui presentata, dai militari dell’Arma, accertamenti che hanno consentito di appurare che la vettura dell’uomo era già danneggiata da tempo.
Logica, quindi, secondo i giudici di merito, la condanna per il reato di simulazione di reato. Impossibile, difatti, ridimensionare la condotta tenuta dall’uomo, il quale ha presentato denuncia presso una stazione dei Carabinieri, affermando falsamente di aver subito il danneggiamento – cosa, in realtà, mai avvenuta – della propria autovettura.
Secondo la difesa, però, l’azione compiuta dall’uomo non integra gli estremi del delitto di simulazione di reato, perché egli non ha sporto denuncia per un fatto di reato ma ha segnalato un illecito civile, consistente nella colposa violazione delle norme che regolano la circolazione stradale, ossia una condotta non idonea a determinare il pericolo che venga iniziato un procedimento penale. E, sempre secondo la difesa, non rileva il fatto che, nel caso specifico, sia stata compilata una annotazione di polizia giudiziaria e si sia dato corso ad un’indagine, in quanto l’uomo si è limitato, all’epoca, a richiedere l’acquisizione dei filmati di una videocamera che riprendeva il luogo in cui era parcheggiata la vettura, richiesta che i carabinieri dovevano considerare irricevibile.
Sempre secondo la difesa, poi, difetta anche l’elemento soggettivo del reato, che richiede che volontariamente e consapevolmente si attivi il meccanismo dell’indagine penale nella consapevolezza della falsità della notizia di reato segnalata.
Per i magistrati di Cassazione, però, la versione difensiva non regge assolutamente, anche perché, ai fini della configurabilità del delitto di simulazione di reato, è sufficiente che la falsa denuncia determini l’astratta possibilità di un’attività degli organi inquirenti diretta all’accertamento del fatto denunciato. Di conseguenza, il reato non sussiste quando la inverosimiglianza del fatto denunciato appaia prima facie ed escluda, pertanto, anche la mera possibilità dell’inizio di un procedimento penale. Quindi, deve essere esclusa l’integrazione del reato solo allorché la denuncia, per la sua intrinseca inverosimiglianza o per il modo della sua proposizione o per l’atteggiamento tenuto dal denunciante, susciti l’immediata incredulità e il sospetto degli organi che la ricevono, che si determinino perciò al compimento di indagini al solo fine di stabilirne la veridicità e non già per accertare i fatti denunciati.
Ragionando in questa ottica, i giudici di Cassazione osservano che l’uomo ha sporto querela orale innanzi ai carabinieri, denunciando che ignoti avevano provocato l’ammaccatura del cofano anteriore dell’auto, che aveva parcheggiato sulla pubblica via, danno che, a suo dire, aveva constatato quando era tornato a prelevare il mezzo. E in quella sede ha precisato anche che, dalla visione delle immagini tratte dal sistema di videosorveglianza installato presso vicini esercizi commerciali, secondo quanto aveva appreso dai relativi titolari, risultava che un furgone, nel fare retromarcia, aveva urtato il suo veicolo e si era poi immesso sulla strada principale senza fermarsi. Invece, le indagini successivamente hanno permesso di appurare che l’automobile era già danneggiata al momento in cui l’uomo l’aveva parcheggiata sulla pubblica via.
Per chiudere il cerchio, infine, i magistrati di Cassazione aggiungono una considerazione: la possibilità di un’attività degli organi di inquirenti diretta all’accertamento del fatto era tutt’altro che astratta, considerato che, dopo la presentazione della querela, i carabinieri avevano svolto indagini, giungendo alla conclusione che l’automobile era già danneggiata prima di essere parcheggiata sulla pubblica via.

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