L’esistenza di un pregiudizio riflesso non legittima le contestazioni mosse dal socio

L’interesse del socio ad impugnare la delibera consiliare non può essere ritenuto in re ipsa e coincidente semplicemente con l’interesse alla legittimità dell’attività gestoria e all’eliminazione della delibera non conforme alla legge o allo statuto

L’esistenza di un pregiudizio riflesso non legittima le contestazioni mosse dal socio

Nel contesto societario non è riconosciuta al socio la legittimazione ad impugnare una delibera illegittima del consiglio di amministrazione semplicemente lamentando un pregiudizio riflesso della lesione dell’interesse sociale connesso al mero status di socio. Questo il paletto fissato dai giudici (sentenza del 14 gennaio 2025 del Tribunale di Milano), chiamati a prendere in esame l’istanza presentata da una socia e mirata a porre in dubbio la legittimità della delibera con cui il consiglio di amministrazione della società ha approvato l’offerta per la cessione di un asset aziendale. Alla luce del contesto normativo, l’interesse del socio ad impugnare la delibera consiliare non può essere ritenuto in re ipsa e coincidente semplicemente con l’interesse alla legittimità dell’attività gestoria e all’eliminazione della delibera non conforme alla legge o allo statuto: l’interesse ad agire si appunta, infatti, sul diritto individuale del socio leso dalla delibera consiliare non conforme nel senso che deve risultare evidente il nesso funzionale tra la pronuncia di annullamento richiesta dal socio e la realizzazione dell’interesse sotteso al diritto leso attraverso la rimozione delle ragioni che lo comprimono. Nel caso preso in esame dai giudici, in particolare, la socia ha sostenuto la propria legittimazione all’impugnazione della delibera del consiglio di amministrazione che ha approvato l’offerta di acquisto di un ramo d’azienda comprensivo di una infrastruttura, lamentando essenzialmente che la decisione dell’organo amministrativo, attraverso una modificazione di fatto dell’oggetto sociale statutario vietata dalla disciplina della società, l’avrebbe espropriata del suo diritto di voto nell’assemblea straordinaria che avrebbe dovuto essere convocata per la prodromica modifica formale dello statuto e della possibilità di eventualmente esercitare il diritto di recesso. La deliberazione consiliare impugnata sarebbe, a suo avviso, lesiva tanto del diritto di voto, quanto di quello di recesso, in quanto il consiglio di amministrazione, adottando la decisione senza convocare l’assemblea straordinaria al fine di modificare preventivamente l’oggetto sociale ha impedito: non soltanto a tutti i soci di esercitare in questa sede, attraverso il diritto di voto la possibilità di esprimersi sul punto, mantenendo o eliminando il vincolo all’agire degli amministratori rappresentato dall’attuale tenore dell'oggetto sociale, ma anche, a quelli che avessero votato in senso difforme dalla maggioranza, di esercitare il diritto di recesso. In sostanza, l’interesse della socia agli accertamenti di conformità del comportamento del consiglio di amministrazione alle previsioni di legge e di statuto richiesti si appunta sulla prospettata lesione del diritto di voto nell’ assemblea straordinaria che avrebbe dovuto essere indetta per la modificazione dell’oggetto sociale statutario e dell’eventuale diritto di recesso che avrebbe potuto essere esercitato dai soci dissenzienti a seconda del suo esito. Tuttavia, mentre non vi sono dubbi sulla ravvisabilità della situazione che legittima il socio all’impugnazione della delibera consiliare illegittima nella lesione del diritto di recesso e del conseguente diritto alla liquidazione da parte della società del valore della partecipazione sociale, la riconducibilità del diritto di voto in assemblea alla categoria dei diritti soggettivi individuali che, ove lesi, legittimano il socio all’impugnazione è esclusa, poiché esso è annoverato fra le posizioni che accomunano tutti i componenti della compagine sociale e che contrappongono le competenze dei due organi sociali e non la posizione individuale di un singolo socio alla società. Del resto, il diritto di voto è un potere strumentale alla formazione della deliberazione destinato ad esaurire la propria funzione all’interno del procedimento assembleare ed il suo esercizio da parte del socio concorre alla formazione in assemblea della volontà dell’ente e, di per sé, a meno che non ricorrano ipotesi di una sua peculiare connotazione, non gli assicura la realizzazione dell’interesse individuale perseguito. La semplice prospettazione ipotetica ed eventuale delle posizioni soggettive lese dalla deliberazione consiliare in discussione evidenzia l’assenza di un concreto ed attuale interesse della socia alla pronuncia di annullamento richiesta e la mera rilevanza accademica dei quesiti posti al giudice sull’accertamento della legittimità dell’operato del consiglio di amministrazione sotto il profilo dell’osservanza del perimetro dei poteri gestori nella situazione descritta. Infatti, tanto in relazione alla lamentata lesione del diritto di voto tanto in relazione alla lesione dell’eventuale diritto di recesso a fronte della modificazione non condivisa dell’oggetto sociale, indispensabile ai fini dell’esistenza dell’interesse ad impugnare la deliberazione consiliare è che il socio prospetti come certa almeno l’espressione del suo voto in dissenso che, a voler seguire l’impostazione della socia, è l’unica facoltà effettivamente compromessa dalla deliberazione del consiglio di amministrazione elusiva della competenza assembleare. Solo l’espressione del diritto di voto in dissenso viene, infatti, preclusa dalla delibera consiliare elusiva del diritto del socio di esprimersi in assemblea sulla modificazione dell’oggetto sociale in modo tale da maturare il diritto di recesso. Ma, a tale proposito, nel corso del giudizio mai la socia ha prospettato la volontà di esprimere nell’eventuale assemblea indetta per la modificazione dell’oggetto sociale prodromica all’operazione di dismissione dell’infrastruttura un voto dissenziente e, anche nel corso dell’interrogatorio libero, si è limitata a ribadire che mirava semplicemente ad ottenere la convocazione dell’assemblea per acquisire in quella sede maggiori informazioni sull’operazione.

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