Separazione coniugale: presumibile la contitolarità del titolo postale se cointestato
Cambio di prospettiva, invece, se vi è la prova che il saldo attivo discenda dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei coniugi
La cointestazione di un conto corrente o di un titolo postale tra coniugi fa presumere, Codice Civile alla mano, la contitolarità dell’oggetto del contratto, con divisione in quote uguali. Tale presunzione può essere superata dalla prova che il saldo attivo discenda dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei coniugi, con conseguente esclusione di diritti dell’altro coniuge nei rapporti interni.
Ciò detto, il regime patrimoniale di separazione dei beni non consente di ritenere che le somme versate costituiscano automaticamente risparmi comuni per il solo fatto del lavoro esclusivamente casalingo dell’altro coniuge.
Questi i chiarimenti forniti dai giudici (ordinanza numero 30233 del 17 novembre 2025 della Cassazione) alla luce del contenzioso sorto tra due ormai ex coniugi in merito ad alcuni fondi postali, pari a quasi 40mila euro.
Premesso il regime di separazione dei beni tra i due coniugi durante il matrimonio, l’uomo sostiene che la donna, dopo una crisi poi sfociata nel giudizio di separazione, si sia appropriata indebitamente di fondi postali cointestati ad entrambi ma costituiti con denaro di lui.
Per i giudici d’Appello, però, le somme depositate sul fondo postale devono intendersi in comproprietà tra i coniugi in parti uguali, come previsto dal Codice Civile.
Questa visione viene ‘censurata dai magistrati di Cassazione, i quali, ampliando l’orizzonte, precisano che, essendo pacifica la cointestazione del titolo postale tra i due coniugi, trova applicazione la normativa secondo cui il relativo credito – solidale verso ‘Poste Italiane’ – nei rapporti interni si divide in quote uguali, salvo che non risulti diversamente, giacché la cointestazione introduce, sì, una presunzione di contitolarità della somma versata sul conto corrente, la quale però nella specie è stata superata dalla prova offerta dall’uomo circa la provenienza di quel denaro esclusivamente da redditi propri, non avendo, peraltro, la donna eccepito alcunché a proposito di quanto dichiarato sul punto dall’oramai ex marito. Ciò, peraltro, nel quadro di un altrettanto pacifico regime patrimoniale di separazione dei beni, che se, da un lato, impediva di ritenere che quanto versato nel conto dopo la separazione potesse costituire una comunione de residuo, rende, dall’altro, del tutto immotivata l’affermazione circa la comproprietà delle somme presenti sul libretto quali risparmi derivanti anche dall’asserito lavoro casalingo della donna.
Ancor più in dettaglio, i magistrati precisano che la cointestazione di un conto corrente tra coniugi attribuisce loro la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni, e fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto. Inoltre, la cointestazione di un conto corrente tra più persone attribuisce a ciascuna di esse, nei rapporti interni, la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto medesimo, che si dividono in quote eguali, solo se non risulti diversamente, e, così, ove il saldo attivo discenda dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, deve escludersi che l’altro possa, nei rapporti interni, avanzare diritti su di esso.