Messo alla porta il lavoratore sottoposto a carcerazione preventiva
Decisivo il riferimento alla mancanza di interesse del datore di lavoro a ricevere le ulteriori prestazioni del dipendente

La sottoposizione del lavoratore a carcerazione preventiva, anche per fatti estranei al rapporto di lavoro, non costituisce inadempimento degli obblighi contrattuali, ma, tuttavia, consente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo qualora, in base ad un giudizio ex ante, non persista l'interesse del datore di lavoro a ricevere le ulteriori prestazioni del dipendente. Legittima, quindi, la clausola del contratto collettivo che prevede la risoluzione del rapporto di lavoro dopo un periodo predeterminato di assenza del lavoratore per misure restrittive della libertà personale, in quanto codifica una situazione di fatto oggetto di bilanciamento degli interessi contrapposti delle parti, rappresentando preventivamente ai lavoratori che l'assenza prolungata per più di dodici mesi, ancorché non imputabile, determina, di regola, il venire meno dell'interesse datoriale all'eventuale e futura prestazione residua. Questi i punti fermi fissati dai giudici (ordinanza numero 26208 del 7 ottobre 2024 della Cassazione), chiamati a prendere in esame il contenzioso relativo al licenziamento di un lavoratore sottoposto prima agli arresti domiciliari e poi all’obbligo di firma quotidiano, con conseguente sospensione del rapporto di lavoro e, soprattutto, con conseguente mancata prestazione lavorativa per un periodo di dodici mesi. In sostanza, l’azienda, decorso il termine annuale previsto dalla norma contrattuale collettiva, aveva comunicato la risoluzione del rapporto, anche perché, in seguito alla modifica della misura cautelare, detta condizione, ossia l’obbligo di firma quotidiano, risultava incompatibile con l’organizzazione aziendale. Per i giudici, come anche per l’azienda, la fattispecie regolata dalla norma contrattuale collettiva va ricondotta alla verificazione di fatto che, ancorché non imputabile al lavoratore, è tale da non consentire di fornire la regolare prestazione lavorativa, quale impossibilità sopravvenuta con effetti estintivi del rapporto, secondo una previsione contrattuale che individua l’arco temporale di tolleranza ex ante in dodici mesi, determinando la mancanza della prestazione lavorativa per ragioni non imputabili al dipendente un difetto funzionale della causa, anche quando la misura cautelare custodiale è stata sostituita da misura coercitiva obbligatoria. Tirando le somme, il protrarsi dell’assenza del dipendente, per più di un anno, è stato tale da determinare la perdita di interesse del datore di lavoro all’eventuale prestazione residua.